La violenza sulle donne è un tema antico. Intervista a Jacopo Spirei, regista della Lucie di Lammermoor

La situazione dei femminicidi in Italia sta, giustamente e finalmente, scaldando gli animi di uomini e donne. E anche noi vogliamo partecipare attivamente al dibattito con un’intervista al regista Jacopo Spirei che ha messo in scena, il 18 novembre scorso nel corso del Festival Donizetti al Teatro Sociale di Bergamo, una Lucie de Lammermoor, totalmente incentrata sul tema della violenza sulle donne, tanto che la serata è stata dedicata a Giulia Cecchettin.

Jacopo Spirei è un regista molto conosciuto e apprezzato a livello internazionale, soprattutto per le sue regie sempre estremamente attuali a volte dure che, con un linguaggio semplice e chiaro, stimolano una profonda riflessione nello spettatore. E anche questa regia non ha mancato il suo obiettivo, lasciandoci, al termine, profondamente scossi.

Hai messo in scena uno spettacolo molto incentrato sulla violenza sulle donne. Che cosa ha significato per te?

Lucie di Lammermoor è un’opera che parla di una società maschile e maschilista che impone un matrimonio di convenienza a una donna, che alla fine riuscirà a liberarsi solo attraverso un atto violento. Inevitabile, quindi, una riflessione sul mondo odierno, sull’atteggiamento degli uomini nei confronti delle donne in Italia, e non solo, in questi anni.

Per me è stata un’occasione di approfondimento delle dinamiche del branco e delle logiche di potere che spingono e legano gli uomini, un aspetto tribale spesso trascurato.

Ho voluto mostrare come la violenza maschile si nasconda ovunque, persino nei comportamenti che noi pensiamo “innocenti”.

Quale sentimento ti suscitano i comportamenti di cat calling, barzellette sulle donne, commenti anche scherzosi ma certamente sessisti fatti dagli uomini, a volte anche dagli amici? E che atteggiamento assumi?

Ai tempi del “MeToo” rimasi molto colpito dalla quantità di donne che avevano subito qualche forma di abuso a sfondo sessuale, specialmente intorno a me.

Questo mi ha obbligato a una profonda riflessione, perché da uomo non mi ero mai accorto né tanto meno avevo pensato che un commento o una “battuta” fosse una forma di violenza. Oggi, per fortuna, la penso in maniera molto diversa.

Mi sono reso conto che, nonostante un’ottima educazione, un’infanzia felice e un’educazione al rispetto di tutti e specialmente delle donne, mi sono ritrovato nelle logiche di un pensiero maschile che si impara e si assorbe ovunque, anche attraverso le cose più banali.

E, diciamo che il mio atteggiamento attuale è di profonda autocritica.

 

L’atteggiamento maschilista e di possesso credi che sia tipicamente italiano?

È un problema globale, quello italiano è sicuramente marcato, ma le statistiche dei femminicidi parlano chiarissimo: è più pericoloso essere donna in Africa o in Asia che in Europa, ciò non toglie né giustifica il problema italiano. Essendo italiano mi concentro sulla mia realtà e cerco di cambiarla per quanto sia nelle mie possibilità.

Come uomo e artista che cosa pensi che si debba o si possa fare, tutti insieme, per cambiare la situazione femminile in Italia?

Dobbiamo esigere un cambiamento non chiederlo. È molto semplice: si deve lottare, non c’è scelta, non si può accettare di vivere in un paese in cui la metà dei cittadini non è al sicuro.

Che messaggio vuoi mandare a tutte le donne violentate e abusate sia fisicamente, sia psicologicamente?

Io non ho messaggi, non mi permetterei mai!

Quello che ho cominciato a fare è ascoltare le donne; sentire quello che hanno da dirmi, anche se fa male anche se a volte mi offende, perché mi fa capire molto di me stesso e del mondo in cui vivo, e di questo sono molto grato all’altra metà del cielo.

                       

 

 

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